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Un liceo classico per il terzo millennio

30 Settembre 2021

di Emanuele Lelli

Puntuale, come ad ogni inizio di anno scolastico, si avvia il dibattito sull’attualità del liceo classico, e sul senso e l’utilità dello studio del latino e greco. Un dibattito, quest’anno, aperto da un intervento di Augias su Repubblica, e dal lancio di un ‘nuovo’ corso di lingua e cultura latina del Corriere (Motta): entrambi, purtroppo, piuttosto deludenti ad avviso di chi scrive, che ormai da vent’anni lavora in una scuola investita da profonde trasformazioni.

Interrogarsi, ancora, sul “perché” studiare latino e greco rischia di essere, credo, un dibattito inutile, forse anche dannoso. Che le lingue antiche siano tra gli esercizi più efficaci per sviluppare intelligenze multiple e competenze logiche è persino ovvio, e che siano queste lingue ad essere studiate, e non lo swahili (Eco), perché la civiltà greca e romana sono le radici della nostra tradizione occidentale è altrettanto ovvio, oltre che ‘giusto’: tutti i paesi del mondo hanno nei propri percorsi educativi lo studio del passato, in particolare del passato che li riguarda. Il tema delle radici, d’altra parte, non va confuso con quello di una presunta supremazia morale delle civiltà greca e romana, idea che è stata purtroppo alla base, nella storia, di diversi fraintendimenti e manipolazioni rovinose: le culture greca e romana offrono un serbatoio di valori, ma anche di disvalori da scoprire, e proprio per questo vanno studiate (Bettini). Alla motivazione formativa e a quella storico-culturale va aggiunta – spesso lo dimentichiamo – la motivazione estetica, tutt’altro che secondaria: le manifestazioni culturali delle civiltà greca e romana sono, semplicemente, belle (Ordine). E studiarle contribuisce non poco a sviluppare i nostri canali emozionali, e a formare il senso del gusto, individuale e collettivo.

Ma allora, se tutte queste motivazioni dovrebbero appartenere al senso comune non solo di chi il liceo classico lo frequenta, perché il dibattito su questo indirizzo e sulle sue “materie caratterizzanti”, come recita la normativa, si ripropone ogni anno, con infinite variazioni, e spesso con protagonisti che – a dire il vero – nella scuola non lavorano e non hanno quasi mai lavorato?

Il fatto è che l’inarrestabile ed evidente declino delle competenze dei nostri studenti (nella traduzione, ma non solo) induce a interrogarsi sull’attualità del nostro liceo classico, che sarà pure una scuola “giusta” e che educa alla giustizia (Condello), ma rischia di diventare proprio una delle più ingiustamente poco efficaci.

Piuttosto che chiedersi “perché” si studino ancora greco e latino, allora, converrà chiedersi “come” continuare a studiarli, per garantire alle future generazioni le stesse opportunità formative, culturali ed estetiche offerte dal liceo classico.

Una delle chiavi per comprendere il progressivo distacco di interesse e il calo di competenze dei nostri studenti è riflettere, mi pare, su uno dei mutamenti più epocali dei nostri tempi, paragonabile a quello in cui nell’antichità si passò dall’oralità alla scrittura: il passaggio al digitale. La diffusione ormai pressoché completa dell’accesso libero – o economicamente irrilevante – alla rete e la ‘democratizzazione’ (chiamiamola così) degli strumenti mobili a tutti i livelli e, soprattutto, a tutte le età della società occidentale si sono rivelati, per il mondo della scuola in generale, e probabilmente per il latino e il greco in particolare, fattori di impatto determinante, e sotto vari aspetti.

Chiunque abbia studiato al liceo classico sa che le lingue antiche si apprendono non tanto in classe, ma in quei lunghi pomeriggi di solitario e rigoroso studio individuale, sui testi e sulla memorizzazione. La rete, ove sono disponibili ormai tutti i brani in traduzione che quotidianamente assegniamo ai nostri ragazzi, ha in pochi anni demolito questo presupposto didattico (ed educativo), rendendo de facto vana l’assegnazione di esercizi a casa. E non si può, a questo proposito, invocare uno scatto di responsabilità, addirittura di eticità, dei nostri giovani, perché, come ha dimostrato proprio il recente periodo di didattica a distanza, le scorciatoie che il web e il digitale offrono allo studente non sono fronteggiabili dal docente. Si tratterebbe, come è stato recentemente sottolineato nella rivista dell’Associazione Italiana di Cultura Classica, Atene e Roma, di chiedere ai ragazzi una “postura austera” (Tulli), quasi una “ascesi” (Taufer), probabilmente rara e inattuale.

Ma c’è di più, e di più radicale. L’abitudine a interagire con il prossimo – e più in generale a vedere il mondo – attraverso il proprio strumento digitale sta progressivamente mutando le competenze intellettive dei nostri giovani e, più profondamente, il loro modo di ragionare. In peggio, ci dicono gli psicologi e i neuropsichiatri: e qui si aprirebbe tutto un altro dibattito. Comunque la si pensi, la scuola, in primis il liceo classico, che della scuola rappresenta una delle istituzioni più tradizionali, deve fare i conti con questo mutamento digitale. Se necessario, deve adattarvisi. Ne deve fare un alleato, non un antagonista (Cataldi).

La percezione degli adolescenti che entrano oggi in un Istituto di indirizzo classico – ci dicono gli psicologi che lavorano con i nostri studenti – è quella di entrare in una sorta di castello medievale, ove si devono mettere da parte le tecnologie con cui oggi ci si rapporta alla conoscenza, e si debbono maneggiare quei materiali antichi che sono libri, quaderni, penne e matite. Poi, usciti dal maniero, si ritorna alla vita “normale”, con social networks, apps di messaggistica, e la rete. Quale possa essere, da parte dei nostri ragazzi, la percezione di materie insegnate in modo tradizionale (leggi: diverso dalla modalità d’uso), su supporti tradizionali, e con esercizi tradizionali, è facile intuire.

La risposta di un liceo classico che voglia proiettarsi nel futuro non può essere quella di chiudersi nel ribadire che i metodi di insegnamento tradizionali hanno sempre funzionato, e sempre funzioneranno, e sta allo studente disporsi con rigore a seguirli. Occorre, a mio avviso, un cambio di prospettiva: sta all’insegnamento delle materie classiche aggiornarsi nei metodi e negli strumenti.

Non parlo della strada, ampiamente sperimentata, dell’apprendimento delle lingue antiche come lingue vive (Orberg) che, pur diversa nel percorso, non si differenzia nel metodo comunicativo.

Parlo di un radicale cambiamento nelle modalità di insegnamento e di esercitazione-fruizione del latino e del greco: di un vero e proprio passaggio dalla comunicazione orale-scritta a quella digitale.

Pochi, troppo pochi sono stati, fino ad oggi, gli esperimenti di insegnamento digitale delle lingue classiche: limitatissimi esempi di esercizi inseriti nelle piattaforme digitali di qualche grammatica. Forse, a dire il vero, anche per una limitata e non calorosa richiesta, e predisposizione, da parte di noi insegnanti.

Occorre invece, a mio avviso, avviare l’elaborazione di piattaforme digitali sistematiche e complete, che sostituiscano progressivamente i libri di testo cartacei, e che avvicinino l’apprendimento della grammatica, della sintassi, e della logica che ne è l’ultimo livello cui tutti miriamo, alle modalità di comunicazione digitale che i ragazzi quotidianamente impiegano. Piattaforme che, innanzi tutto, abituino il ragazzo (alcuni colleghi diranno: costringano) a lavorare sul suo supporto digitale in concentrazione e senza l’ausilio del web, bloccando – è più che possibile – tutte le altre applicazioni e connessioni. Declinazioni, radici, casi, parti del discorso che si colorino diversamente e in modo animato, esercizi con finestre interattive che sottolineino l’errore, ne valutino la gravità ed eventualmente reindirizzino il ragazzo, ne registrino tempi e risultati, fornendo una prima autovalutazione; vocabolari finalmente chiari, con famiglie lessicali interattive, tooltips che spieghino, parola per parola, le realtà storiche, culturali e materiali che stanno dietro ai termini e protagonisti dei brani assegnati, la distanza e l’analogia o la fortuna di tratti di civiltà antica rispetto all’oggi. Ma soprattutto, va sottolineato, repertori di esercizi digitali da svolgere in classe e a casa.

Il tutto, ovviamente, in un percorso che abbia nella guida e nelle scelte del docente il suo insostituibile cardine.

Le possibilità logiche del digitale, a chi sappia indirizzarle per educare la logica che ci offrono il latino e il greco ancora oggi, direi soprattutto oggi, sono infinite. Il digitale, anzi, con le sue potenzialità, può vincere anche l’annosa sfida del dibattito sulla priorità della lingua o della civiltà, della traduzione o dell’antropologia: proprio il digitale può consentire, infatti, di far viaggiare lo studente sulla strada di un apprendimento parallelo di lingua e di cultura, attraverso finestre, immagini, video, persino fumetti, impossibili da attivare in supporto cartaceo.

Il digitale, va detto, non costituirà una semplificazione del processo di apprendimento, ma – anzi – un suo potenziamento: e molti territori della civiltà greca e latina che, oggi, sono spesso fatalmente emarginati dall’insegnamento (morfologia storica, metrica, geografia e molto altro: Napolitano) potranno proprio attraverso il digitale tornare ad essere fondamentali nel percorso formativo, perché ‘avvicinati’ – nel metodo comunicativo – ai ragazzi.

Il liceo classico ha, e avrà sempre, le sue ragioni formative, culturali ed estetiche: solo se saprà rinnovare i suoi metodi di insegnamento, però, grazie al coraggio e alla lungimiranza di chi insegna tutti i giorni latino e greco, potrà vincere la sfida che la rivoluzione digitale dei nostri tempi gli ha, implicitamente, lanciato. Una sfida che certamente Platone e Aristotele, Cicerone e Seneca, non avrebbero neanche immaginato, ma che, forse, avrebbero accettato e avrebbero saputo vincere.

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